Il Sacro nell’opera di Antonio Corriga (Galleria delle esposizioni)

5 maggio – 27 agosto 2017

Nella Galleria delle esposizioni è stata ospitata la mostra Il Sacro nell’opera di Antonio Corriga che ripercorreva una selezione della ricca e variegata produzione del pittore sulla tematica del “sacro”. Si partiva dai bozzetti degli studi per la Basilica di Nostra Signora di Bonaria per giungere al genere delle “processioni”, che hanno scandito la vita artistica del Maestro. Per il maestro Corriga, il concetto di sacralità non si restringe a ciò che è propriamente religioso (ad es. le processioni o la festa di San Mauro, con la superba chiesa campestre a pochi passi dalla sua Atzara) ma si estende e comprende il lavoro nei campi, la custodia del gregge, la tosatura degli ovini, la vendemmia: tutti soggetti dai quali il Corriga trae un’ispirazione che lo accompagna e lo spinge a raccontarsi nel linguaggio che gli è proprio, quello della pittura.

La mostra è stata curata da Sabina Corriga e Antonello Carboni

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Nel tentativo di restituire, seppure brevemente e in parte, una possibile chiave di accesso alla lettura
che giustifica il lavoro svolto dalla complessa figura di Antonio Corriga, pensiamo sia necessario
anzitutto partire da un’indagine biografica per ricercare quegli elementi scatenanti e decisivi che
hanno di volta in volta declinato l’arte del Maestro, fino a definirne la sua cifra stilistica.
Nel 1923, quando nasce Corriga, gli artisti più in vista nell’isola sono Giuseppe Biasi, Francesco
Ciusa e Filippo Figari. Il primo prenderà parte nel 1916 alla Secessione romana e quattro anni dopo
sarà premiato per la pittura alla XII Biennale; Ciusa, nel 1907, in seguito alla sua partecipazione alla
Biennale di Venezia con “La madre dell’ucciso” riscosse un notevole apprezzamento da parte della
critica. Ad Atzara invece è vivo il ricordo del transito dei pittori Costumbristi, Chicharro e Ortiz,
ambasciatori fedeli della visione pittorica di Zuloaga e Anglada. Su questi scogli di Scilla e Cariddi
molti pittori sardi si incaglieranno negli anni successivi, Filippo Figari in primis.
Negli anni trenta Atzara è un paese della Barbagia in cui il tempo sembra essersi fermato. Le
opulente ceramiche dalle cangianti patine, i dipinti realizzati da Ortiz e le raccolte de “La domenica
del Corriere” e de “L’illustrazione italiana”, custoditi presso il palazzotto della famiglia di Carmina
e Pietro Sias, eserciteranno un sottile fascino per il giovane Corriga animato di sincero socialismo,
di storia, di politica in termini aconfessionali e progressisti.
I contatti con i grandi centri metropolitani sono sempre precari, perciò tradizione e costumi ereditati
si conservano ad Atzara immutati. Sono sacri il lavoro dei campi, la custodia del gregge, la tosatura
degli ovini, la vendemmia, gli appuntamenti religiosi e la festa di San Mauro, nella vicina chiesa
campestre: tutti soggetti dai quali Corriga trae inevitabilmente ispirazione.
Rientrato in Sardegna da Firenze porta con sé la lezione del suo maestro Primo Conti, nell’uso del
colore, del pennello, della luce, restituendo nelle sue tele lo scenario sociale che la comunità gli
offriva. Così Corriga si fa testimone del tempo e narra l’epica di una società sarda con uno sguardo
concreto, in cui divino e terreno convivono in un equilibrio non sempre armonico, memore
dell’insegnamento appreso nello studio di Pietro Annigoni, da lui assiduamente frequentato. Ma sul
finire degli anni ’40 e i primissimi anni ’50 avviene una svolta formale che porterà Corriga ad
introdurre nella propria pittura nuovi elementi che lo accompagneranno per tutta la sua stagione
professionale. E’ grazie soprattutto a Richard Scheurlen, conosciuto per la prima volta nel 1936 ad
Atzara, e lì giunto dietro invito di Filippo Figari, che il registro pittorico di Corriga assumerà una
nuova veste grafica dai contorni meno nitidi e maggiormente nervosi e gestuali.
Negli anni immediatamente successivi al secondo dopoguerra, l’intenso rapporto epistolare con
Scheurlen permette al giovane Corriga di maturare una personale visione poetica. L’attenzione si
sposta dal ritratto al paesaggio dipinto en plein air, con un gesto rapido, volutamente distratto e
indefinito, dato dalla impugnatura del pennello distante dalle setole, che gli permette di creare con
disordine creativo una sommatoria di sfocature cromatiche che da una certa distanza restituiscono
un’immagine perfetta, immersa in una gioia di colori. Trascura le linee. Prova a creare delle masse
pittoriche di figure con grumi di colore in primo piano, messi in evidenza da tratti di luce che sono
colore e che si distaccano dalla “natura morta retrostante”. E’ in questo momento che molto
probabilmente nascono le prime processioni e nasce quell’artista poliedrico che instancabilmente,
come il suo maestro Annigoni, è stato anche un abile incisore e pittore di opere di grandi
dimensioni.